Cosa vuol dire psicoterapia?

Un giorno, lungo una strada, si forma una colonna di veicoli dove un’autobotte si è fermata ostacolando il traffico. L’autista con aria desolata aiuta le macchine a passare la strettoia. Alla domanda di un passante di che problema ci sia, l’autista risponde che è senza gasolio. “Allora l’autobotte viaggia vuota”, ribatte il passante. “No, è piena di gasolio, ma non ho nessun mezzo per travasarlo nel serbatoio”, risponde l’autista.

Questa piccola storia ci sembra un ottimo apologo della psicoterapia.

Tutti nasciamo con grandi potenzialità che solo raramente possiamo utilizzare appieno. Spesso a causa di vicende percepite come molto dolorose, nel corso della nostra infanzia mettiamo a punto delle “difese” che ci spingono ad utilizzare solo una piccola parte delle nostre possibilità.

Non sempre siamo consapevoli dell’esistenza di queste difese (anzi spesso non lo siamo affatto) e non sempre esse agiscono con gli stessi effetti durante il corso della nostra vita.

Queste “difese” sono state probabilmente la risposta adeguata (nel senso del male minore) alla situazione drammatica, come noi l’abbiamo vissuta, ma il problema è che si sono cristallizzate nel profondo di noi stessi e si attivano automaticamente (anche contro la nostra volontà cosciente) anche se le condizioni ambientali sono da allora mutate in nostro favore.

Un semplice esempio:

Francesco è un bambino sano, curioso, attivo. Il papà di Francesco è molto affezionato a suo figlio e gioca spesso con lui. I giochi che però fa più volentieri con suo figlio sono soprattutto giochi competitivi nei quali regolarmente cerca di vincere. Francesco protesta e si arrabbia e papà lo prende in giro dicendo che è solo un bambino e di strada ne ha ancora molta da fare prima di riuscire a vincere. Nulla di particolarmente traumatico, almeno all’apparenza, tanto più se il padre ha un affetto sincero per il bambino. Non dimentichiamo però che per un bambino le figure genitoriali sono tutto il suo mondo e quindi un modello del mondo. Se Francesco sente con sofferenza il suo non riuscire mai a farcela cercherà di trovare un modo per evitare che queste esperienze si ripetano. Uno dei modi possibili potrebbe essere quello di sfuggire a tutte le sfide che presume possa anche perdere (ecco la difesa di cui parlavamo sopra). Ma questo significa che per non provare il dispiacere del fallimento dovrà rinunciare anche al piacere del successo. Dunque stenterà a mettersi in moto per lui quel processo circolare che spinge ad osare di più nella vita, a partire dall’autostima che viene confermata dai successi. Sarà un ragazzo e poi un uomo che vive al di sotto delle sue possibilità.
A partire da un aspetto della relazione col padre ecco che si è inconsapevolmente formato un aspetto della personalità che caratterizzerà il seguito della vita di Francesco ormai indipendentemente dal fatto che con l’età adulta le condizioni ambientali potrebbero essere più favorevoli.

Il cristallizzarsi della difesa può generare tutta una gamma di sofferenze che vanno da quelle fisiche (per esempio: asma, mal di schiena, mal di testa, dolori di stomaco, ecc.) ad altre più spiccatamente psicologiche (per esempio: ansia, depressione, difficoltà di relazione, piccole o grosse fobie, ecc.). Un’altra conseguenza frequente, anche se meno specifica, delle difese psichiche è un generalizzato senso di inquietudine e di insoddisfazione, o un sentimento di non realizzazione, come se qualcosa mancasse al raggiungimento di una soddisfacente completezza.

Nel nostro esempio abbiamo che da una parte agisce la difesa con il suo contenimento e le sue prudenze e dall’altra Francesco sperimenta l’insoddisfazione del non sentirsi all’altezza; di un senso di sé svalutato. D’altra parte Francesco nemmeno si sente di osare perché quelle poche volte che l’ha fatto è stato così difensivamente cauto da non raggiungere quanto avrebbe desiderato. Vediamo quindi che se la difesa è servita a suo tempo a tenere sotto controllo la sofferenza della sfida paterna nel tempo lungo diviene improduttiva perché essendo un freno alla completezza, cristallizza (almeno in un aspetto) l’immaturità e non permette la soddisfazione ed il piacere di sentirsi pienamente capaci di agire nel mondo.

A questo punto comprendiamo meglio il senso dell’apologo che abbiamo raccontato all’inizio. Il grande serbatoio dell’autobotte sono le nostre grandi potenzialità. Il piccolo serbatoio del veicolo rappresenta le possibilità limitate entro le quali ci costringiamo per eccesso di prudenza rispetto ad un mondo che continuiamo a percepire come troppo vasto, richiedente, arido e minaccioso. Non abbiamo più il mezzo per travasare il contenuto del grande serbatoio. È un po’ quindi come se al di là della nostra volontà ci costringessimo a girare intorno a casa con una modesta autonomia (nemmeno tutti fanno il pieno del piccolo serbatoio!) e disturbati da acciacchi vari.

La psicoterapia si pone come il mezzo, come l’aiuto per collegare i due serbatoi. Non dimentichiamo però che il grande serbatoio già esiste nella persona; non lo crea il terapeuta.

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